schiaviSIENA – Quando si parla di traffico di esseri umani, la mente corre subito alla tratta di schiavi che ha interessato l’Atlantico nei secoli scorsi. Ma la schiavitù è davvero scomparsa con l’arrivo del nuovo millennio? La risposta, quasi scontata, è no. Piuttosto ha cambiato forma, imparando a nascondersi nelle piaghe della nostra società. Donne e bambini ne sono le principali vittime. Le stesse che spesso abbiamo davanti agli occhi, ma non riusciamo, o non vogliamo, vedere. Partendo da questa riflessione, docenti e studenti di varie università europee e statunitensi hanno dato vita alla “Spring School on Human Trafficking”, svoltasi presso la Certosa di Pontignano (Siena) dal 4 al 16 marzo 2013. La scuola internazionale, in parte finanziata dall’Unione europea nell’ambito del Lifelong Learning Programme, ha avuto come capofila la Technische Universität di Dresda. Tra i soggetti partecipanti l’Università di San Thomas di Miami, l’Università di Brno in Repubblica Ceca, L’Università Romena Americana di Bucarest e l’Università di Siena.L’ateneo senese ha curato l’aspetto giuridico, mentre agli altri partecipanti è toccato approfondire i risvolti sociali, culturali e sanitari della questione. «La caratteristica principale della Scuola – ci ha spiegato il Professor Federico Lenzerini, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università degli Studi di Siena – era la sua interdisciplinarità. Insieme agli studenti abbiamo lavorato alla redazione di una Dichiarazione internazionale, che sarà pubblicata tra qualche settimana».Che cosa si intende, dunque, nel 2013, con il termine schiavitù? «Secondo le stime più recenti – ha spiegato il Professor Lenzerini – sono circa 27 milioni le vittime di traffico illecito, poi indirizzate verso varie strade, come la prostituzione, la vendita di organi, il lavoro domestico. Per ciò che riguarda i bambini, il cui traffico è legato soprattutto all’adozione e allo sfruttamento con fini di lucro, la situazione è ancora più grave. Molti di loro sono bambini di strada, non registrati all’anagrafe nel paese d’origine. Quando uno di loro scompare, è come se non scomparisse nessuno».
Vittime invisibili, eppure vicine a noi. Sarà capitato a tutti di essere fermati da un bambino che chiede l’elemosina ad un angolo di strada.  Quasi sempre si va via, magari un po’ infastiditi, senza chiedersi cosa c’è davvero dietro quel gesto. «Il primo passo – ha affermato il docente dell’ateneo senese – è imparare a rispettare le vittime e a riconoscerle come tali, non come qualcosa di immorale e fastidioso. Altra questione è la formazione del personale sanitario, che deve essere in grado di riconoscere le vittime di sfruttamento derivante dal traffico di esseri umani. Queste devono sentirsi rassicurate, altrimenti non si fideranno degli operatori che vogliono aiutarle».La legge, in questo senso, non può fare tutto da sola. «Negli ultimi dieci anni sono state emanate convenzioni specifiche in materia, come il Protocollo di Palermo del 2000 sul crimine transnazionale organizzato o la Convenzione del Consiglio d’Europa sul traffico di esseri umani (2005). Gli strumenti ci sono – ha concluso il professor Lenzerini – ma prima che sul piano giuridico, è necessario intervenire sul piano sociale e sanitario. Gli studenti, che hanno dimostrato grande maturità e motivazione, sono stati concordi nel ritenere che, alla base del traffico di esseri umani, vi sia prima di tutto un problema culturale».

di Silvia Aurino

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui