giapponepena_morteTOKYO – Tre esecuzioni capitali eseguite in Giappone: Masahiro Kanagawa, 29 anni, è stato impiccato a Tokio, Kaoru Kobayashi, 44 anni, a Osaka e Keiki Kano, 62 anni a Nagoya. Kobayaski e Kano sono stati messi a morte nonostante fossero in procinto di presentare domanda per un nuovo processo. Ferma la condanna di Amnesty International che teme un aumento: «Queste esecuzioni, coperte dal segreto, – ha spiegato Roseanne Rife, direttrice di Amnesty International per l’Asia orientale –  sono un freddo omicidio premeditato. Le autorità giapponesi erano apparse senza pietà già durante il primo governo di Shinzo Abe. Ora rischiamo di essere di fronte a un altro periodo di omicidi a sangue freddo da parte dello stato. Sorge il dubbio che queste esecuzioni siano solo un espediente politico». Sono le prime tre esecuzioni dall’entrata in carica, lo scorso dicembre, che ha definito «Senza pietà». «Chiediamo al ministro della Giustizia – ha continuato Rife –  di non firmare ulteriori ordini di esecuzione e, piuttosto, di considerare il fatto che oltre due terzi dei paesi non ricorre più alla pena di morte. Sollecitiamo il ministro ad avviare un dibattito pubblico sull’uso della pena capitale».
I PRECEDENTI DEL GOVERNO ABE – Durante il primo governo di Shinzo Abe, dal settembre 2006 al settembre 2007, vennero eseguite 10 condanne a morte, il più alto numero mai registrato sotto un governo liberaldemocratico. Considerando che l’attuale ministro della Giustizia di Shinzo Abe ha pubblicamente manifestato il suo sostegno alla pena di morte, il rischio è che quel numero possa essere superato. Nei bracci della morte del Giappone si trovano 134 prigionieri, uno dei numeri più alti in oltre mezzo secolo. Di solito i prigionieri, spiega Amnesty, apprendono dell’esecuzione solo poche ore prima, in alcuni casi senza preavviso.

di Stefania Melucci

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