Niente casa né lavoro, una settimana passata in giro per le strade della città senza meta. Da un mese e mezzo, ha trovato rifugio in un centro antiviolenza del comune di Napoli (Cav). Una soluzione temporanea trovata grazie al sostegno di Daniela Falanga, primo presidente transessuale dell’Arcigay di Napoli. Ma il prossimo 30 luglio scadono i termini, dovrà lasciare l’alloggio e non sa che fine farà. È la storia di Vlad Agota, trentatreenne transessuale napoletana. L’incontro avviene in centro storico, l’unico posto che ancora sente “casa”. Occhi blu, profondi, il viso segnato dal dolore. «Passare una settimana in strada è stata una violenza sociale – racconta la donna – lavori, paghi le tasse, contribuisci alla società e all’improvviso, in un attimo, puoi diventare il nulla». Vlad sa benissimo che oggi, a causa dell’emergenza sanitaria, sono in tanti ad aver perso il lavoro. E se per tutti la disoccupazione è una tragedia, per qualcuno lo è un po’ di più.
«La mia transessualità è diventata un limite enorme nella ricerca del lavoro. Se per tutti, in questa fase, è difficile per me lo è ancora di più. Purtroppo, in questo paese funziona così: se la tua transessualità è evidente non lavori. Ed io certo non la nascondo, perché dovrei?».
Una situazione difficile, quella di Vlad, e di solitudine quasi totale. «Ho una famiglia – continua – che però al momento non può aiutarmi economicamente. La cosa, però, che mi ha più ferita è stato il rifiuto di mio padre nell’ ospitarmi a casa. E solo perché, a suo dire, ostenterei la mia transessualità. Come se poi ci fosse qualcosa da ostentare».
L’unica cosa certa, al momento, è che il 30 luglio Vlad sarà costretta a lasciare anche il centro antiviolenza.
«Non so che fine farò. Le mie amiche? Si sono adeguate alla società, si prostituiscono. Ma non è questa la fine che voglio fare e non posso pensare che sia proprio questa l’unica alternativa che mi resta»
Un sostegno importante, quello del Comune di Napoli, ma di sicuro non sufficiente.
«Io sono grata al Comune per quello che sta facendo ma mi sento parcheggiata – insiste la donna – come in una sorta di limbo. Il comune, ma in realtà lo Stato italiano, dovrebbero promuovere il reinserimento sociale di persone che vivono la mia condizione. E invece questo non avviene. Questa soluzione mi ha semplicemente dato la possibilità di non dormire in strada ma la mia condizione non cambia. Il covid ha semplicemente amplificato e reso più evidente il processo di discriminazione e marginalità a cui siamo normalmente sottoposte».
Desidera cose semplici Vlad, come tutti: un lavoro che la renda autonoma, una casa, un compagno. E, perché no, anche dei figli. Ma anche la normalità, purtroppo, non ha lo stesso prezzo per tutti.

di Luca Leva