di Gianni Di Lascio
MILANO.  L’ergastolo? Va abolito. Entra nel vivo la quarta Conferenza mondiale “Science for peace”, il progetto guidato della Fondazione Umberto Veronesi che dal 2009 punta a diffondere nel mondo la cultura della pace. Dal palco dell’Aula Magna dell’università Bocconi di Milano (domani 17 novembre la seconda e ultima giornata) arriva una proposta radicale di cambiamento del sistema di detenzione italiano: la pena a vita va cancellata.
PISAPIA. «Nel codice penale di un’Italia democratica l’ergastolo o il “fine pena mai” non devono più esserci», ha sottolineato oggi nel corso dei lavori di apertura della conferenza il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. «Con la tutela dei diritti si ottiene anche l’osservanza dei doveri. Prima di essere sindaco ho lavorato alla commissione ministeriale di riforma del codice penale che voleva uscire dall’equazione sanzione uguale carcere». Un progetto che non è stato accolto, ma che secondo il sindaco di Milano andrebbe ripreso. «Ci sono pene più efficaci che consentirebbero sia di risarcire le vittime e sia di rieducare socialmente il condannato. In molti Paesi, del resto, l’ergastolo, non è previsto neppure come ipotesi. Quello che deve essere chiaro, al di là delle opinioni politiche e personali, è che la nostra Costituzione afferma che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. E il “fine pena mai” è incompatibile con questo principio costituzionale».
VERONESI. A schierarsi apertamente per l’abolizione del carcere a vita è anche il presidente di “Science for peace”, il celebre oncologo Umberto Veronesi, che dalla sua porta anche il bene stare della scienza. «La ricerca ha dimostrato che i neuroni di un uomo si rinnovano ogni vent’anni. Di conseguenza comminare pene così severe dopo molto tempo è come condannare un uomo diverso. Il cervello, infatti, si rinnova continuamente. Per questo è insensato tenere in carcere una persona fino alla fine dei suoi giorni, perché anche l’assassino più efferato dopo venti anni è cerebralmente differente dall’uomo che ha commesso quel delitto», ha sottolineato Veronesi. «La scienza ci ha confermato che l’uomo è geneticamente non violento e che nel nostro dna non c’è il gene dell’aggressività. La nostra vocazione naturale è alla solidarietà e alla protezione dei più deboli, mentre l’aggressività è la nostra risposta a una minaccia alla sopravvivenza, o il risultato di fattori esterni, come un’educazione sbagliata. Una cultura di pace non può prescindere da una giustizia ispirata al recupero e alla riabilitazione della persona».
CELESTINI. A sostegno della campagna anche l’autore, attore e regista romano Ascanio Celestini, che ha partecipato ai lavori con un video messaggio. «Da anni il dibattito attorno al carcere è marginale o viene affrontato con un crescente e preoccupante giustizialismo che chiede pene sempre più severe, una trasformazione in reato di qualsiasi comportamento considerato moralmente scorretto e,  soprattutto, viene vista come un’istituzione inevitabile e indispensabile», ha spiegato Celestini. «Ma il responsabile di un reato non può essere schiacciato sul reato che ha commesso. Così come il paziente non è la propria malattia, ma molto di più, anche il colpevole non è solo la propria colpa. La finalità della giustizia dovrebbe essere la riconciliazione con la società. Per questo ritengo che i concetti di rieducazione e punizione siano due aspetti dello stesso rapporto paternalistico e infantilizzante di una istituzione che deve essere superata».
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