Avrei voluto comprarle dei fiori. I fiori dal papà. In famiglia è la prima figlia, dopo due figli e più generazioni al maschile.

Ma il fioraio non c’è. Saracinesche blindate, stessa sorte per gli altri esercizi commerciali, esclusi alimentari, farmacie e attività essenziali. É il Covid-19 che non fa prigionieri. Neppure per le nascite. Non tiene conto dei sentimenti, delle emozioni. Impone la sua legge, legge non scritta di un nemico invisibile. Ma che va rispettata. E i fiori, si sa, appassiscono. Impossibile acquistarli in anticipo, come il latte per neonati fino al quarto mese, 20 bottiglie. Una scorta anti Covid-19. 
 

L’ARRIVO IN CLINICA: SCHEDA, TERMOMETRO E AMUCHINA
Le anticipazioni del ginecologo che ha seguito la gravidanza si avverano, punto per punto. In clinica c’è un flusso di medici e infermieri in versione palombari. Attenzione, professionalità, il tentativo di rispettare le disposizioni per il contenimento del contagio. Mascherina, guanti, occhialini, la divisa bianca, total body. Ma è l’amuchina a dominare la scena. C’è un distributore, un palmo dopo l’ingresso. E dalle tasche dei camici spuntano le boccette. Una volta entrati in clinica c’è una liturgia da osservare. Per tutti, anche solo per consegnare a un paziente un pacco, una valigia, un libro: compilazione di un modulo in cui si assicura di non aver avuto a che fare con il Virus, di non esser stati di recente nelle zone più colpite dal contagio. Poi, la misurazione della temperatura con il termometro digitale. Con esiti spesso surreali, anche lui mostra la corda, stritolato dal Covid-19 e da un utilizzo intensivo: la sera del ricovero di mia moglie, il primo tentativo su di me si arrampica a quota 32,8, poi 34, ultimo giro, che finisce su carta, a 35,6. Affare fatto. 

LA NASCITA DI MIA FIGLIA
Avviene la mattina successiva al ricovero di mia moglie. Lei, tra chirurgo e anestesista, io da solo, in auto, con mascherina blu (e un fazzoletto di carta monouso all’interno) e guanti in lattice color turchese. Come se dovessi entrare in sala operatoria, ma non compaio tra i titolari.  Amuchina al lato sinistro, smartphone in mano destra. La clinica è a pochi metri, dall’altro lato della strada. Mia figlia sta per nascere e non posso esserci. Solo una persona per paziente è autorizzata all’interno della struttura, ho ceduto l’onore alla mamma di mia moglie, che l’accompagna, l’aiuta nella delicata fase preparatoria. Dunque, il mio compito è ricevere informazioni su mamma e figlia, smistarle via Whatsapp a genitori, parenti, amici. E anche schivare qualche volante della Polizia che potrebbe chiedere conto della mia presenza in auto, anche se non ho contatti con l’esterno e l’autocertificazione, la penultima versione, spunta tra disinfettanti e altri documenti. L’operazione tarda, poi arriva la foto sul cellulare. E’ nata. Un batuffolo avvolto da una coperta rosa. Il viso è rilassato, ignara del suo incrocio imperfetto con la Storia, venuta al mondo nel momento più complesso dal Dopoguerra.  Mi commuovo, mi concedo una pacca sulla spalla sinistra. Non posso stringere mani, ricambiare abbracci. Neppure percorrere avanti e indietro un corridoio. La gioia è compressa in un’automobile, un’utilitaria. E’la polaroid della potenza senza pareti del Virus, che invade anche gli angoli più nascosti del cuore. Il primo incontro con la piccola avviene solo dopo qualche ora. E per qualche minuto, al nido, a gruppi di tre con altri padri. Tutti in fila indiana, a distanza. Come al supermercato, o in farmacia. Si scattano foto, la meraviglia passa attraverso un vetro e condensata in pochi attimi. Tre persone in pochi metri quadri. Poi tocca agli altri. Per godersi di nuovo lo spettacolo, rimettersi in fila. Che è lunga. 
RACCOMANDAZIONI, PAURE: IL DIKTAT DEL PEDIATRA
Alla fine della degenza, poco più di tre giorni, ecco la visita del pediatra. La bimba sta bene, la mamma dovrà riposare. Ecco i precetti anti Covid-19: per la neonata, contatti ridotti al minimo. La mamma, ovviamente, che ha potuto allattarla, con tempi contingentati, ma non baciarla. Poi (finalmente) il papà, i fratellini che sono barricati in casa ormai da settimane. Braccia protette, isolate dal Virus. Per loro, nessun limite a baci, coccole, carezze. Per i nonni, paterni e materni, gli zii, gli amici, che somigliano agli sprinter allineati per la finale olimpica dei 100 metri, restano solo le videochiamate. Skype, Whatsapp e il meglio offerto dal web, assieme a fotografie, audio con i gemiti della neonata. E così, la disposizione, per settimane. Il sistema immunitario del nuovo arrivo – che si rafforza con il latte materno, spiega il pediatra della clinica-, non deve incrociare la virulenza del Coronavirus. Le statistiche riferiscono di assenza decessi tra i più piccoli, ma va evitato ogni rischio. E per la visita di controllo dopo una settimana dal parto, in clinica non si può, le visite ambulatoriali sono sospese a tempo indeterminato. Quindi, controllo del peso della neonata a casa. In caso di necessità, garantisce una visita di controllo la pediatra degli altri figli. Perché il Covid-19 non fa sconti. 
> di Nicola Sellitti