«Ogni giorno mi sento come fossimo su un campo da guerra. Sono sensazioni nuove anche per noi. Già quando abbiamo dovuto affrontare le fasi di vestizione e svestizione, per noi fondamentali, ci siamo visti stravolgere vita e abitudini. Ma è necessario farlo. Ne va della salute di tutti». Ciro Brancaccio (nella foto), 46 anni, infermiere dal 2008 al Cotugno, lavora nel reparto Prima Divisione, quella dove si affrontano patologie a carattere neurologico. Ma come tutti gli altri ormai è diventato un reparto Covid. «Da circa 8 anni lavoro in Rianimazione – spiega – dove c’è tanta preoccupazione per chi ci aspetta a casa». Sposato e con due figli, per evitare il contagio ogni sera Ciro non li sfiora nemmeno. «Rincasando viviamo da “appestati”, ognuno di noi mantiene le distanze. Finanche a tavola o sul divano. Non li abbraccio né li bacio. Può sembrare una follia, ma il virus è micidiale, nessuno è immune». «Per fortuna in ospedale abbiamo fatto corsi di formazione quando è stata dichiarata la pandemia – aggiunge – ma per contagiarsi basta poco, ecco perché bagna restare a casa». Non è la prima volta tuttavia che Ciro affronta un’emergenza come questa. «Ricordo il periodo della Sars, qualche paziente arrivò anche da noi, dove il reparto più impegnato all’epoca era la Rianimazione. Ma il Covid fa più paura perché il contagio è molto facile». Tute protettive, visori, calzari e 2-3 paia di guanti è l’equipaggiamento che Brancaccio indossa come tutti i suoi colleghi: «è già dura così, figuriamoci se fossimo in piena estate», dice. Ma quali sono le sensazioni che prova chi è quotidianamente a contatto con gli ammalati di Coronavirus? «In Rianimazione curiamo gli intubati, a cui cerchiamo di trasmettere serenità e fiducia con gli occhi. Li trattiamo come parenti, fratelli o genitori. Ho visto gente aggravarsi in pochi secondi ed è traumatico portarli dal reparto alla terapia intensiva». E ogni giorno c’è anche chi si prende cura di medici e infermieri del Cotugno: «da note aziende ci arrivano pizze, pasta e caffè a dimostrazione del grande cuore dei napoletani». Ma anche Ciro ha un sogno: «quando quest’incubo finirà – dice – da tifoso del Napoli vorrei incontrare non i calciatori che restano i nostri idoli, ma chi – come noi – vive dietro le quinte negli spogliatoi, ossia Tommaso Starace, il magazziniere della squadra che è la memoria storica del Club da Maradona a oggi».

 di Giuliana Covella