Lui si chiama Paolo Baldini è un infermiere del 118 e lavora a Pavia, per un’impresa di sicurezza e primo soccorso, è impegnato come altre migliaia di persone tra medici e infermieri al Nord, in questa guerra chiamata coronavirus, quest’incubo di paura, quarantene, morti e notizie incessanti che stiamo vivendo da diverse settimane.
Paolo, come fosse un diario dal fronte, riporta spesso attraverso i social cosa sta succedendo lì, quello che non si viene a sapere, e implora ogni giorno le persone di stare a casa. Paolo racconta che i tamponi sono pochi e le persone che li fanno sono poche e che quindi ormai si fanno solo per le persone con sintomi gravi, sarebbe da attribuire a questo secondo lui il numero dei contagiati che diminuisce; che a breve dovranno decidere a chi dare le cure perché gli ospedali sono in affanno; che ci sono persone che scelgono con grande coraggio di far morire i genitori a casa per stargli vicino. Questa è ad esempio la storia di Lucia, il primo post che ho letto di Paolo, che mi ha straziato il cuore che comincia così, “Sapete cosa sta succedendo nei territori del lodigiano dove tutto è’ partito? I cittadini che chiamano la centrale operativa del 118 dove io lavoro chiedono aiuto. Ma sapete cosa chiedono? Chiedono semplicemente aiuto. Non pretendono nulla. E incredibilmente non urlano, non minacciano, non insultano…Voi che li non ci vivete non capirete subito il perché sono così remissivi e rassegnati. Io si. E cerco di spiegarvelo. Mi chiama Lucia.
Vive in una casa a due piani. Lucia ha 55 anni abita al piano di sopra ed è in quarantena con i suoi due figli. Le chiedo chi ha bisogno. Mi dice sua madre che abita al piano di sotto. Le chiedo se hanno avuto contatti con persone positive per coronavirus. Lei inizia. Gianni suo marito 57 anni è ricoverato in rianimazione. Intubato. Stefano suo fratello 49 anni è morto l’altro ieri in rianimazione. Non la stessa rianimazione dove è ricoverato il marito perché non c’era più posto quando è stato male”. Lucia da una settimana non vede il marito e non lo sente, aspetta ogni giorno una telefonata dall’ospedale per sapere come va. Chiama il 118 per sua mamma 88 anni con febbre e affanno da diversi giorni, seguita da uno dei pochi medici di base non infetti, che ha chiesto di portarla in ospedale perché non è più gestibile in casa. Paolo scrive, “Le propongo un mezzo di soccorso per portare la madre in ospedale. Le premetto però che ci vorrà del tempo e che non sono certo di poterla portare all’ospedale di Lodi dove è’ ricoverato suo marito. Lei mi blocca. La sua voce è’ calma ma decisa. Ho la sensazione di dovermi preparare a discutere. Sono stanco e egoisticamente non ho più voglia di parlare con nessuno, ho la nausea nel sentire sempre le stesse storie, la stessa sofferenza e lo stesso dolore…Lucia invece mi da una lezione di vita che ancora oggi due giorni dopo è ben impressa nella mia mente e nel mio cuore. Lucia mi dice che non vuole portare la mamma in ospedale. Mi spiega che ha già perso un fratello senza poterlo salutare e senza poter andare al suo funerale. Mi dice che non vuole che sua madre muoia in ospedale”. La donna aggiunge “So perfettamente che in ospedale riuscite a malapena a stare dietro ai pazienti giovani e so perfettamente che se mando mia mamma in ospedale la lasciate morire da sola perché non avete tempo di curarla. Vi chiedo solo qualcuno che mi dica che sto facendo la cosa giusta e che mi permetta di farla morire dignitosamente a casa senza soffrire” Il racconto finisce qui, la mamma di Lucia morirà un’ora dopo a casa sua.
Questa nel post dell’infermiere di Vigevano è solo una delle tantissime storie di sofferenza e dolore che questa malattia sta creando.  Paolo avverte, “Non illudetevi che possa accadere agli altri e non a voi. Quando vi supplichiamo di stare a casa e vi diciamo che siamo al collasso non scherziamo. Negli ospedali non ci sono più posti nemmeno per i giovani.
Noi sanitari ci stiamo ammalando e l’epidemia si sta allargando”. Queste parole mi sono rimbombate in testa tutto il giorno perché ogni volta che ascolto una conferenza stampa della protezione civile, i toni sono rassicuranti, non risultano ad oggi persone non soccorse e gli ospedali non sono pieni, i posti ci sono, tutto procede con sicurezza. E quando i giornalisti chiedono perché tutti questi morti, le risposte sono vaghe, fanno riferimento all’età media dei morti, al fatto che l’Italia è il secondo paese al mondo con aspettativa di vita più alta e quindi le persone anziane sono tante; non raccontano invece che a Milano e Bergamo è ancora in funzione il delivery a domicilio di cibo, e sono ancora aperte le fabbriche, nonostante il numero di contagi e di morti solo nella provincia di Bergamo sia altissimo; di oggi la notizia che Confindustria ha chiesto al Governo di posticipare la chiusura delle fabbriche, come da decreto del 22 marzo, per gli interessi economici legati alla zona industriale. E davvero questa la chiave di questo disastro?

di Caterina Piscitelli