L’Associazione Senegalesi Napoli (Senaso) ha accolto per la prima volta a Napoli la piattaforma economico-commerciale Baye Sa war con una delegazione del Senegal, tra cui il Console Generale.
La kermesse “Senegal in mostra” ha coinvolto diverse realtà napoletane e senegalesi durante tre giorni di incontri, una mostra di prodotti artigianali senegalesi, musica e sfilate di moda. Presso l’Ex Asilo Filangieri si è dato inizio al forum di scambio economico-culturale, nel corso del quale abbiamo avuto modo di intervistare il presidente della Senaso Pierre Preira.
In cosa consiste il lavoro che fate presso la Senaso e come siete arrivati a questa iniziativa di partenariato commerciale tra Italia e Senegal?
«Il progetto rientra nello scopo principale dell’associazione. Oltre al servizio di assistenza e accompagnamento per i nostri soci cerchiamo di creare dei rapporti tra le autorità locali e le autorità del Senegal. Il nostro lavoro sul territorio punta proprio a coinvolgere i nostri connazionali nella convivenza in Italia e in Senegal. L’iniziativa di questo partenariato parte da un punto semplice: quando la promotrice Fatou Drame ha visitato Napoli è rimasta impressionata dall’energia e dal dinamismo della città, decidendo così di creare una rete di artigiani, imprenditori e cooperative commerciali che, attualmente, si muove in tutto il mondo promuovendo i prodotti tipici senegalesi. Dopo la sua visita in città e il suo entusiasmo insieme al nostro ha permesso l’organizzazione di queste giornate».
Quali sono stati gli elementi di difficoltà e positività che avete incontrato in relazione a questo progetto tra Senegal e Italia, in particolare per quanto riguarda Napoli?
«Le difficoltà incontrate sono state principalmente due. La prima è stata del tutto interna, ovvero l’incapacità, talvolta, di lavorare in gruppo perché questo progetto è stato creato su un lavoro collettaneo di idee. La seconda ha riguardato i mezzi, sia materiali che finanziari: fronteggiare le spese è stato difficoltoso, ma non impossibile grazie a tutte le persone che ci hanno aiutato a realizzare queste giornate. Un’ultima difficoltà è risultata da una questione di “percezione” perché, solitamente, quando si parla d’Italia dall’estero ci si ferma a Milano o al massimo a Roma: Napoli non viene mai considerata almeno dalla maggior parte delle realtà. Questa condizione è stata capita anche dalla politica senegalese, per questo tre anni fa si è costituito a Napoli il consolato generale, una rappresentanza del Senegal in grado di coordinare, aiutare e risolvere i problemi reali del migrante e non, soprattutto per quanto riguarda la questione documenti. Qual è la soluzione possibile a questa difficoltà? Solo unendoci riusciamo a garantire e garantirci una vita dignitosa. Nessuno può vivere la sua condizione di immigrato da solo, per migliorare il suo vissuto deve poter contare su una rete di forze che lo aiuta».
Nella vostra piattaforma c’è un focus sul mercato informale, che storicamente ha interessato i napoletani, mentre oggi troviamo i soggetti diasporici che arrivano in Europa. Quali sono le iniziative che possono puntare alla valorizzazione sociale e economica di queste nuove realtà?  
«È necessario dire che l’informalità è data dalla mancanza di informazione e di formazione per questo puntiamo a colmarla attraverso dibattitti e confronti diretti: ad esempio, parliamo del lavoro ambulante, in cosa consiste? Come si può esercitare in maniera completamente formale? Spesso sono gli stessi lavoratori a non riconoscerlo come un vero e proprio lavoro guardando ad esso come una sorta di “arrangiarsi” come si direbbe a Napoli, ma non è così! Quando spieghi loro di essere dei piccoli imprenditori ti chiedono perché. In Italia quando apri una partita iva sei a tutti gli effetti un piccolo imprenditore quindi, se oggi hai una bancarella domani potresti ambire ad avere una grande attività ed è proprio su questo su cui concentriamo le nostre forze anche se il percorso è molto lungo. Ciascuno di noi risparmiando sostiene mediamente dieci persone in Senegal ma fino a quando lo si può fare? Si sta pensando anche al proprio futuro? Bisogna cambiare le modalità di porsi e per fare ciò è necessario anche il sostegno degli italiani».
Se si riuscisse a trovare una formula di regolarizzazione dell’ambulantato è chiaro che questo aiuterebbe tantissime persone ad uscire dallo stallo dei documenti…
«In Italia c’è un legame stretto tra lavoro e permesso di soggiorno e questo significa che tutte le persone occupate come ambulanti non possono rinnovare il permesso di soggiorno e se tutti riflettessero su questo punto e lottassero per slegare questo vincolo i migranti sarebbero più liberi di svolgere il lavoro che si son scelti uscendo così dalle condizioni imposte di semiprecarietà e regolarizzazione». 
di Emanuela Rescigno