ROMA – La ‘ndrangheta è un’organizzazione mafiosa che si basa sui vincoli di sangue. Sulla famiglia. Sono rari i casi in cui membri esterni alla famiglia entrino nelle cosche. E in quei pochi casi non fanno carriera. La famiglia conta più del potere, più dei soldi. La famiglia garantisce un futuro alle attività criminali. Come se fosse un’azienda di famiglia appunto. E in realtà lo è. Privare dunque i boss di questa continuità aziendale, ancora prima e ancor più dei legami affettivi può essere un duro colpo che lo Stato può mettere a segno contro la ‘ndrangheta. Lo racconta bene nel suo ultimo libro, “Rinnega tuo padre” (Laterza editore), il giornalista de “l’Espresso” Giovanni Tizian. Dodici storie di riscatto da un destino criminale già scritto.
Se la famiglia conta più del potere e dei soldi, quelli che contano di più sono i figli. L’allontanamento dei minori dal nucleo familiare è un metodo nuovo col quale la magistratura prova a contrastare le organizzazioni mafiose calabresi. Almeno a Reggio Calabria attraverso il lavoro del Tribunale dei Minorenni. Dal 2012 sono quasi cinquanta i giovani allontanati dalle famiglie criminali. In questo libro Giovanni Tizian racconta alcune di queste storie che ha avuto modo di conoscere da vicino intervistando il presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, alcune mogli e figli di boss e affiliati alle cosche della malavita calabrese. Attraverso le storie
Attraverso le storie raccolte in “Rinnega tuo padre” non si raccontano solo le vite dei protagonisti, ma anche il sistema criminale di stampo familiare che da secoli permane in Calabria. Tizian racconta il ruolo quasi sempre marginale delle donne ridotte al ruolo di serve che devono crescere i figli come soldati, indottrinandoli con i valori mafiosi. Togliere i figli ai mafiosi è un atto duro ancor più della confisca dei beni. Non tutto il mondo dell’antimafia e della giustizia sono favorevoli a tali misure. Il Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria si può considerare come un anticipatore, un precursore di questa misura. Un modo indubbiamente nuovo di contrastare le mafie, la ‘ndrangheta nello specifico. Non solo repressione. In un passaggio del libro il giudice Di Bella sottolinea che «In Calabria bisogna investire, la ‘ndrangheta si combatte con progetti sociali, lavoro e cultura. Puntando sui giovani, sulle nuove generazioni, libere dal ricatto del bisogno». E questo tocca alla politica, non al Tribunale.

di Ciro Oliviero

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