ROMA – Bambini, adolescenti e donne: sono queste le categorie che nel nostro Paese, molto più che in altri Stati europei e del mondo, rischiano più di tutte di subire esclusione sociale e di essere maggiormente esposte al rischio di povertà rispetto ai maschi adulti. Nella classifica stilata quest’anno dal WeWorld Index 2018, l’Italia è fanalino di coda tra i Paesi europei per l’inclusione, perdendo, rispetto agli anni precedenti, ben 9 posizioni: è 27° su 171 Paesi mentre era 18° su 167 nel 2015; anche rispetto al gruppo del G20 l’Italia è tra i 6 Paesi con la performance peggiore.
Ambiente meno sostenibile, rischio sempre più elevato di essere colpiti da disastri naturali, ma anche violenza di genere e presenza minoritaria delle donne nelle posizioni politicamente rilevanti, sono solo alcune delle dimensioni prese in esame dall’Index per la valutazione dei Paesi europei ed extraeuropei più o meno inclusivi.
In cima alla classifica tra i Paesi più virtuosi troviamo quelli del Nord Europa con in testa l’Islanda con 112 punti (53 in più rispetto all’Italia), che per la prima volta scalza la Norvegia, mentre chiude la classifica la Repubblica Centroafricana con -146 punti. Si posizionano al 27° posto, come l’Italia, anche gli Stati Uniti, seguiti da Brasile (78° -17 posizioni), Argentina (41° -6 posizioni), Messico (75° -20 posizioni) e Turchia (92° -8 posizioni).
La novità del WeWorld Index 2018 è la centralità data all’educazione. Considerata come elemento fondamentale per l’inclusione di donne, bambine, bambini e adolescenti all’interno della società, l’educazione diventa il mezzo attraverso cui un paese riesce ad evolversi, garantendo i diritti fondamentali di eguaglianza e pari accesso alle risorse a donne e uomini indistintamente.
Sono 5 le barriere da eliminare, secondo il WeWorld Index 2018, per assicurare a tutti i bambini e bambine l’accesso a un’educazione inclusiva, elemento primario e fondamentale per la creazione di una società più equa:
• scarsa nutrizione (che blocca o limita la partecipazione scolastica)
• migrazione (che interrompe i percorsi d’istruzione)
• discriminazioni di genere (radicate in norme e consuetudini)
• violenza (nelle relazioni sociali e famigliari)
• povertà educativa (che in combinazione con quella economica diventa ereditaria)
Per ognuna delle 5 barriere WeWorld Onlus ha individuato 5 Paesi che maggiormente ne sono caratterizzati. Si parte dal Kenya che WeWorld Onlus ha individuato come il Paese rappresentate la barriera della malnutrizione. Segue l’India, rappresentate della barriera delle migrazioni, dove il 40% dei migranti sono minori di 18 anni e dove il 34% dei bambini coinvolti negli spostamenti abbandona il percorso di studi prima del conseguimento di un titolo.
A rappresentare la discriminazione di genere, secondo il WeWorld Index, è il Nepal dove al 37% delle bambine è imposto un matrimonio combinato prima dei 18 anni e al 10% prima del compimento dei 15 anni. Il Brasile invece diventa significativo per la barriera della violenza sociale e intrafamigliare, i dati più recenti dell’IPEA (2017) infatti sono allarmanti: in alcuni stati del Paese i tassi di omicidio sono il doppio della media nazionale (58,1% nel Sergipe, 46,7% nel Ceará) mentre le donne uccise dal proprio marito sono state 4.621 nel 2015.
Infine è l’Italia a rappresentare l’ereditarietà della povertà educativa, qui infatti solo l’8% dei giovani figli di genitori senza diploma di scuola superiore si laurea, rispetto al 68% di laureati provenienti da famiglie in cui entrambi i genitori hanno conseguito un diploma di laurea. Dall’analisi di WeWorld Onlus emerge inoltre che la dispersione scolastica nel Mezzogiorno è superiore al 20%, e che 1.292.000 di ragazzi under 18 vive in condizioni di povertà. Inoltre il 9,4% della popolazione studentesca con cittadinanza non italiana è 3 volte più a rischio di dispersione rispetto ai coetanei.
“Dalla nostra analisi emerge che l’educazione è una precondizione necessaria allo sviluppo economico e quindi all’aumento del tasso di inclusione di un Pese”, ha dichiarato Marco Chiesara, presidente WeWorld Onlus, “come confermano infatti i dati UNESCO dello scorso anno, in caso di completamento della scuola secondaria conteremmo 400 milioni di poveri in meno nel mondo; e l’Italia non è da meno, il superamento della dispersione scolastica potrebbe avere un impatto sul PIL nazionale di diversi punti percentuali, fino al 6%”.

di Danila Navarra

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