ROMA –  “Ho avvertito il Papa. Gli ho detto che sia il governo che i militari ma anche la gente in generale, soprattutto gli appartenenti alla Polizia non gradiscono questo termine. Speriamo che non usi questa parola perché ha un’accezione molto politica. E’ un termine contestato”. Lo ha detto l’arcivescovo di Yangon (Myanmar), il card. Charles Maung Bo, in un’intervista a Tv2000 al microfono dell’inviato del Tg2000 Vito D’Ettorre, in merito al viaggio di Bergoglio in Myanmar e Bangladesh. Tra i temi più delicati che attendono il Papa, infatti, c’è anche quello riguardante la persecuzione della minoranza musulmana dei Rohingya in difesa dei quali Francesco ha lanciato diversi appelli.
“Se usi questa parola – ha proseguito il card. Bo – vuol dire che sposi completamente la loro causa. Anche se io ho cercato di spiegare che se dovesse usare quella parola questo non vuol dire che il Papa vuole interferire nella politica interna birmana ma semplicemente lo fa per una particolare simpatia verso queste persone che stanno soffrendo. Potrebbe farlo ma solo per indicare di chi stiamo parlando”.
“Il Papa sarà qui – ha sottolineato il card. Bo – per essere vicino ai poveri e agli emarginati. Non a caso, il Bangladesh e il Myanmar sono nazioni povere. Lui verrà qui dove i cattolici sono appena l’1% della popolazione. Poi andrà in Bangladesh dove sono addirittura meno dell’1 %. Ma il Papa non viene solo per i cattolici ma per tutti, sia qui che in Bangladesh. Io e gli altri vescovi cattolici ma direi anche i buddisti, i musulmani siamo tutti emozionati. Anche il governo, i militari, sono tutti emozionati per la visita di Papa Francesco. Tutti qui in Myanmar hanno grandi attese da questa viaggio del Papa. La visita è molto importante soprattutto per la situazione attuale qui in Myanmar. Il Papa infatti incontrerà i leader delle altre religioni, è previsto un colloquio di circa un’ora. Ho spiegato al Santo Padre che quest’incontro è davvero importante per coloro che stanno lavorando per la pace. Partecipano, infatti, monaci buddisti e anche autorità musulmane” e il fatto che il Pontefice incontri “tutti i leader religiosi, tutte le autorità, questo è un punto di sintesi e di partenza per la democrazia”.
Papa Francesco, ha osservato l’arcivescovo di Yangon, incontra “un Paese molto complesso. Innanzitutto va detto che abbiamo avuto un regime militare per 60 anni. Due anni fa è stato eletto un governo civile e Aung San Suu Kyi è stata nominata consigliera di Stato. In questo momento direi che esistono 2 governi: uno civile con spazi e poteri molto limitati e l’altro è quello militare che ha il 25% dei rappresentanti in Parlamento e che controlla 3 ministeri chiave: quello della difesa, il ministero dell’interno, e il mistero degli affari di frontiera. I militari hanno ancora molto potere. Un’altra questione è che per circa 60 anni vari gruppi etnici presenti in Myanmar hanno combattuto contro i militari. Una guerra civile, una delle più lunghe al mondo. E tutto questo pesa ancora sulla politica attuale birmana. Ci sono ancora tante persone nei campi profughi, non hanno accesso ai servizi essenziali. E questa è una questione che presenteremo al Santo Padre. C’è la questione di quelli che si autodefiniscono Rohingya, 500 mila persone che sono fuggite in Bangladesh. C’è stata qui un escalation delle violenze quando i guerriglieri dei Rohingia hanno attaccato 30 autobus della polizia e da allora il governo ha risposto con durezza e in modo molto violento”.
Aung San Suu Kyi, ha concluso il card. Bo, è “il punto di riferimento del governo civile. La Comunità internazionale non riesce a comprendere il fatto che il suo ruolo politico e giuridico è molto limitato. Il Papa la incontrerà, come farà con tutte le altre autorità. So che in molti la hanno criticata sulla questione Rohingya ma chi lo fa non si rende conto che i suoi poteri sono molto limitati perché ci sono i militari”.
Ecco il video dell’intervista pubblicata su Tv2000:

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