NAPOLI- Negar Mortazavi è una giovane giornalista iraniano-americana che non può più tornare nel suo Paese, a causa del pressante giro di vite che si è abbattuto sui media in Iran dal 2009, dopo le manifestazioni di protesta scatenatesi all’indomani della rielezione del presidente Ahmadinejad. La sua è una delle storie raccontate nella terza edizione di Imbavagliati, il Festival Internazionale di Giornalismo Civile che si è tenuto dal 20 al 24 settembre al Palazzo delle Arti di Napoli, dove è custodita la Mehari di Giancarlo Siani. «È la macchina in cui fu trovato ucciso il giornalista napoletano – ha detto Désirée Klain, ideatrice e direttrice artistica del Festival –. Con il suo omicidio tentarono di mettergli il bavaglio: in realtà Giancarlo non è mai morto, perché è diventato il simbolo di ciò che per noi italiani vuol dire raccontare la verità, portare avanti la libertà di stampa». Prodotto dall’associazione “Periferie del mondo – Periferia immaginaria” e promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, in collaborazione con la Fondazione Polis della Regione Campania, nel 2017 Imbavagliati ha acceso i riflettori sui muri e fili spinati del nostro tempo, «dai muri veri di Trump a quelli ideologici, ai fili spinati che si conficcano nell’anima dei parenti delle vittime che non hanno avuto giustizia, come i genitori di Giulio Regeni, a cui abbiamo dedicato la scorsa edizione».
Verità pagata a caro prezzo – Gli incontri hanno dato voce a Fehim Taştekin, cronista turco rimasto senza lavoro per le pressioni esercitate dal governo di Erdogan nei confronti delle testate con cui collaborava; a Salah Zater, giornalista libico che da tre anni vive in Germania, costretto all’esilio per sfuggire alle aggressioni subite in Libia, dove si occupava di violazione dei diritti umani, di tortura, di carceri segrete, di sparizioni forzate; a Tulio Hernandez, che ha dovuto lasciare il Venezuela in seguito alle minacce di arresto da parte di Maduro per i suoi tweet che, secondo il presidente, incitavano all’odio e al colpo di Stato. Gemellato con il Premio Siani dal 2016, quest’anno il Festival è stato dedicato a Ilaria Alpi, l’inviata del TG3 uccisa in Somalia nel 1994: «Del suo omicidio ancora non si conoscono i colpevoli, l’inchiesta è stata chiusa e noi qui dal Festival vogliamo che venga riaperta», ha aggiunto l’ideatrice. L’appello è stato lanciato il 23 settembre, durante il convegno sull’importanza della ‘scorta mediatica’, alla presenza dei giornalisti sotto scorta Sandro Ruotolo, Nello Trocchia e Paolo Borrometi.
Scatti di denuncia – A fare da cornice alla terza edizione la mostra “Giovanni Izzo per Imbavagliati”, curata da Stefano Renna con la collaborazione di Luca Palermo, una denuncia su Castel Volturno, teatro di reati quali prostituzione, abusi edilizi, immigrazione clandestina, immortalati da Izzo – anche lui un ‘imbavagliato’ per aver sottratto quattro ragazze alla strada – nei suoi scatti in bianco e nero. E, ancora, l’esposizione di arti visive di Giuseppe Klain – a cura del PM Pino Narducci e di Désirée Klain – “Memoria Olvidada”, un’inchiesta sui desaparecidos italiani nell’Argentina degli anni Settanta, tra cui figurava la napoletana Maria Rosaria Grillo.

di Paola Ciaramella

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