foto greciaGRECIA- «Vogliamo ritornare nel nostro Paese, almeno lì moriamo in modo veloce». Inizia così, con le parole di due minori non accompagnati siriani, il racconto di Emilio Mesanovic, attivista, sociologo di Poggiomarino, tornato dalla Grecia meno di una settimana fa. Partito come volontario indipendente, Emilio, restituisce la cronistoria di una quotidianità e dignità  violata. E’ la testimonianza che denuncia e descrive un inferno, dove circa 15mila migranti ( il 40% bambini ), vivono in uno stato disumano, scrutando la vita al di là del  filo spinato, mentre un carro armato posizionato in terra macedone spegne ogni speranza e uomini in divisa mimetica, armati di proiettili di gomma e lacrimogeni fanno da guardia ai confini. «La situazione a Idomeni, -racconta Emilio- è drammatica. Molti dormono in prossimità di una linea  ferroviaria  infestata da   topi e serpenti, appollaiati in tende provvisorie che al primo colpo di vento forte vanno via come foglie. Quando piove il campo diventa un lago di fango, e tutto viene ingoiato. Questa gente perde continuamente qualcosa. Le condizioni igienico sanitarie sono indescrivibili: piccoli bagni chimici sono stati installati da alcune organizzazioni umanitarie, ma ci sono file lunghissime. I bambini spesso fanno i propri bisogni a terra. Le probabilità di contrarre malattie sono elevatissime, alcuni neonati stanno combattendo contro l’epatite, poiché le mamme sono state costrette a diluire il latte in polvere con acqua non potabile. Il lavoro dei volontari – al momento ce ne sono circa 450 che cooperano e collaborano con Save The Children, MSF ed altre organizzazioni – inizia alle 5 del mattino e finisce a notte fonda. Lì abbiamo distribuito l’essenziale: assorbenti, pannolini, piccoli kit igienici, biscotti per i bambini, tende nuove, sorrisi ed incoraggiamenti. Si cerca di fare il possibile, anche se non basta mai».

LE ATTESE- Emilio parla di attese, di esistenze che si consumano in code interminabili per un pugno di riso e un po’ d’acqua pulita, di anziani scappati dopo ottanta anni di radici e sacrifici, di disabili che hanno dovuto affrontare un viaggio in carrozzina. Parla della malinconia di gente che ha lasciato il cuore sotto le bombe e che ogni tanto ripesca la foto della propria casa sul cellulare, diventata macerie, della rabbia di chi rivendica il diritto alla vita, di un giornalista siriano che ogni giorno, da mesi alle 14:00, protesta per non dimenticare di essere vivo, di bambini che cercano di dimenticare, rincorrendo un pallone. Parla di chi rivuole la normalità anche se ingabbiato, come una famiglia irachena che fuori il proprio spazio occupato ha creato un piccolo salottino con delle pietre e che invita a prendere il the, e di una bimba nata nel campo, che a 7 giorni non ha un posto nel mondo.  «Mi hanno donato tanto. A breve ritornerò, hanno bisogno di noi, hanno bisogno di umanità».

di Carmela Cassese

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