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ROMA – Ci sono luoghi in cui allattare il proprio figlio in pubblico è peccato. Ci sono luoghi in cui girare a volto scoperto per le strade della città dove si è nati è considerato un atto di presunzione, una sfida, una disubbidienza da pagare a caro prezzo. Ci sono luoghi, inimmaginabili per chi non vi è cresciuto, dove le donne odiano altre donne, e sono disposte a strappar loro i capezzoli a morsi pur di dare sfogo a una distorta sete di giustizia, a un’ansia di punizione inculcata, che nessun Dio vorrebbe.

Questi luoghi, e molti altri, sono diventati lo sfondo di “Sotto un altro cielo” (Laurana editore), raccolta di racconti a cura di Claudio Volpe uniti da un unico filo: il tema dell’immigrazione.

Firmato da dieci autori (Dacia Maraini, Giampiero Rossi, Gianfranco Di Fiore, Renato Minore, Francesca Pansa, Pierfrancesco Majorino, Simone Gambacorta, Claudio Volpe, Paolo Di Paolo, Michela Marzano), fra le pagine di “Sotto un altro cielo” si dipana la storia di Ebru: giovane donna arruolata nella gestapo femminile del Califfato, la brigata al – Khansaa, convinta di poter praticare in tal modo il vero Islam: «quello di Allah che tutto può nel suo amore immenso». Brutalmente, Ebru scoprirà che l’amore tanto sperato è fatto di torture e donne lasciate morire, di dentiere di ferro che l’emira, capo della polizia islamica, indossa per sgozzare nel corpo le vittime ritenute colpevoli, quelle che cerca come un segugio fra le strade di Raqqa.

“Sotto un altro cielo” è anche la storia di Aylan Kurdi, il bambino siriano ritrovato morto sulle rive di Bodrum a Settembre dello scorso anno. Riportato a terra dalle onde di un mare che non ha avuto pietà, che si è comportato peggio della guerra da cui Aylan e la sua famiglia stavano scappando, diretti verso il Canada. L’immagine del suo corpicino, «approdato sulla spiaggia come un pezzo di tronco abbandonato», ha fatto il giro del mondo e torna a vivere, oggi, nella memoria collettiva, attraverso il racconto che apre la raccolta, quello di Dacia Maraini.

Anche Leonie ha perso la vita in un naufragio. Nella penna di Francesca Pansa viene ricordata per la sua bellezza, «una bellezza composta e molto fiera». Con la sua morte, tra i sassi neri di Pantelleria, Leonie ha lasciato marito e figli che non potranno più specchiarsi nei suoi «occhi di donna profondi, liquidi, calmi come un’oasi sotto il turbante turchese». Una tempesta se l’è portata via e adesso, nei dibattiti tv e negli slogan di piazza, qualcuno se ne starà in silenzio, almeno per qualche giorno, il tempo di dimenticare l’ennesima tragedia del Mediterraneo e tornare a sbraitare, più forte di prima, che non se ne può più di «nuove bocche da sfamare o pratiche di rimpatrio da espletare».

“Sotto un altro cielo” è anche politica: quella sana, sociale, solidale; quella delle tre “S” che restano un messaggio troppe volte inascoltato. “Sotto un altro cielo” sono i contributi-riflessioni di Paolo Di Paolo e Michela Marzano che chiudono la raccolta come un monito, un invito ad aprire gli occhi. Nel primo, “L’ignoranza”, si viaggia sul tram della linea 2 a Milano, invasa da volantini con scritte razziste, minacciose, che inneggiano all’espulsione degli immigrati. Nel secondo, “In che lingua ami?”, la protagonista, esiliata, francese di adozione, comincia a chiedersi in che lingua ami Jacques, il suo compagno: quella della terra d’origine, della sua vita di bambina poi sbarcata in Francia, o quella appresa nel corso degli anni, a cavallo fra la vecchia esistenza e la nuova? La soluzione può essere solo una: l’amore, quello vero, quello che andrebbe predicato, costringe sempre l’innamorato a comprendere i costumi dell’altro, a confrontarsi con ciò che di diverso si porta dentro: «Lo amo come posso. Nonostante la lingua sia diversa. Nonostante tutto sia diverso. Lo amo. Punto. E insieme abbiamo scoperto un linguaggio capace di accoglierci entrambi». Una riflessione che sembra una favola, quella della Marzano, ma che racchiude una forte morale: una morale che se venisse trascritta e diffusa sul tram delle linea 2 a Milano, così come a Napoli o a Roma, nessuno leggerebbe, purtroppo.

 

di Francesca Coppola

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