NAPOLI- Ci sono tanti modi per declinare l’8 Marzo, giorno in cui si festeggia la donna e la conquista dei suoi diritti negli ultimi settant’anni, nonché i suoi valori aggiunti di madre, moglie e focolare della famiglia. Quello scelto da “Eva pro Eva”, associazione con sede a Somma Vesuviana, è stato proposto ieri mattina alle ore 10, nella sala degli Specchi della Reggia di Caserta, in collaborazione con l’ente provinciale del turismo (EPT) e l’associazione “SommaLav”. L’evento, intitolato “Il Rumore del Silenzio”, è stato caratterizzato da due formule: la prima dedicata alla riflessione, all’approfondimento di temi relativi al femminicidio, alla tutela delle donne e alla battaglia sociale contro ogni forma di molestia; la seconda artisticamente strutturata, con la messa in scena di rappresentazioni teatrali, coreografie musicali e di danza curate dalla regia di Angelo Parisi.

 “Il rumore del silenzio, nasce nelle piazze, a Somma Vesuviana in primis, paese d’origine di Melania Rea, giovane mamma massacrata con 35 coltellate a soli 29 anni, ed è divenuto un evento itinerante, che con il suo cammino vuole dare voce a chi una voce non ce l’ha. L’ha spiegato bene Cinzia Castaldo, presidente dell’associazione “Eva pro Eva”: «Il nostro obiettivo è evidenziare le problematiche sociali e, per mezzo di manifestazioni tematiche, sensibilizzare la collettività su ogni forma di emarginazione. Il progetto “Il Rumore del Silenzio” contro la violenza sulle donne, è liberamente ispirato al famoso viaggio “Zapatos Rojos”di Elina Chauvet, partito dal Messico ed approdato, con le sue tappe, in tutto il mondo. Allo stesso modo, vogliamo girare per informare i giovani affinché aprano gli occhi, e siano capaci di riconoscere i segni di un amore che troppo spesso diventa malato». Un amore criminale che genera tragedie i cui numeri sono da capogiro, a tal punto che, così come ha sostenuto la sociologa della Federico II Maddalena Molaro, «di genere si muore». «Le donne vittime di omicidio – continua la Molaro – sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più complesso ed ampio che prevede anche vittime secondarie, come i figli, quei bambini che restano orfani di madre e per i quali la legge non prevede nessuna forma di tutela. Occupiamoci di chi scompare, ma anche di chi resta».

In ambito internazionale di femminicidio si parlava già nel 1992, ma è solo nel 2008 che il fenomeno acquisisce valenza anche in Italia. Negli ultimi dieci anni sono state oltre duemila le donne morte per ferite da arma da fuoco, tagli, per strangolamento. Barbarie contro le quali la prevenzione, e soprattutto il ricordo, sono l’unico antidoto al silenzio. È in virtù di questa memoria dell’orrore che la psicologa e psicoterapeuta familiare Azzurra Viscione ha cominciato il suo intervento con la proiezione di un video: in esso, l’artista Francesca Biasetton disegna numeri di colore rosso contando da uno a cento, lo fa stridendo su una lastra che provoca un rumore assordante, il rumore della morte che stona. È un sottofondo raggelante, perché «tenere il conto – ci dice la Viscione – anche solo simbolicamente, è un esercizio contro il mutismo, lo stesso mutismo che aiuta il carnefice, e mai il torturato».

L’ultimo intervento è stato quello della psicologa-criminologa Lisa D’Aniello: un excursus sugli stereotipi che non fanno altro che creare disinformazione. È errato pensare, ad esempio, che la violenza sulle donne sia un fenomeno diffuso solo in determinati luoghi o razze, o in famiglie che si contraddistinguono per le ristrettezze economiche. È errato pensare, inoltre, che i partner violenti siano necessariamente affetti da problemi psichici; la verità è che i dati non dimostrano nessuna correlazione fra violenza e disturbi mentali, e che non esiste uno specifico profilo dell’uomo orco. Un ulteriore falsità è quella della «momentanea perdita di controllo». Lisa D’Aniello ci spiega quanto: «la violenza sia ciclica» e mette in guardia dal mito della «falsa riappacificazione». Dopo una prima fase di accumulo della tensione all’interno del rapporto di coppia, dovuto al distacco del partner e ad un conseguente senso di inadeguatezza avvertito dalla partner che la rende fragile, esplode la violenza domestica. Si tratta di un impatto inaspettato, che la donna è incapace di contenere in virtù della rapidità con cui si scaglia contro di lei e il nido familiare. L’inabilità a sopravvivere la porta a fidarsi delle false promesse tipiche della terza fase: quella della riappacificazione illusoria, vana, che come in un circolo vizioso finirà per sfociare nuovamente nella fase uno o anche nella «negazione». Con essa, l’uomo minimizza i propri atteggiamenti sbagliati, fino a negarli e a scaricare la colpa sulla compagna, alimentandone lo stato di depressione, di ansia, insonnia, che la trasforma in un essere arrendevole, incapace di sfuggire dall’aguzzino di turno. «La violenza nelle relazioni di intimità non è un fatto privato, ma un reato – conclude la D’Aniello – e in quanto tale dobbiamo interessarcene tutti».

di Francesca Coppola

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