Layout 1ROMA – Lhakpa è nata nelle montagne tibetane. A quattordici anni si è arruolata «nell’esercito popolare che prometteva uno stipendio buono». Una notte, dopo le prime esercitazioni, cinque soldati cinesi, ubriachi, l’hanno stuprata. Non sono servite a nulla le denunce. Al contrario, Lhakpa è stata sbattuta in prigione, perché «una donna tibetana non è creduta quando dice la verità».

Aisha, invece, è nata in un villaggio piccolo, non è mai andata a scuola né conosce la storia del suo paese. Lei e sua sorella Korwa ogni mattino portano le pecore al pascolo, lo fanno a piedi nudi, perché a nessuna donna del luogo è permesso indossare le scarpe prima del matrimonio. Un giorno, Aisha incontra Ahmed, che le promette di sposarla, di chiedere un permesso speciale a suo padre affinché le nozze possano celebrarsi, in quanto prendere marito toccherebbe prima a Korwa, la figlia primogenita. Durante un appuntamento clandestino, Ahmed e Aisha fanno l’amore. Lei gli si dona inconsapevolmente, con l’idea innocente di un mondo che non conosce affatto. Non sa che la gravidanza che ne verrà spingerà Ahmed alla fuga, esporrà lei stessa alla collera della famiglia e il perfido cognato Magdi a cospargerle i capelli di benzina in un batter di ciglia, facendola bruciare come una torcia.

Anche Teresa, della contea Sonora in California, nei diciotto mesi prima del suo assassinio si rivolge alla polizia ben venti volte per paura che Manuel, il suo compagno, la uccida. La domanda che il commissario le pone offende non solo “la donna”, ma un’intera storia di indipendenza e lotta per i diritti, frutto di sacrifici incommensurabili: «Come pensa di mantenere sé e i suoi figli se lui va in galera?». Poi aggiunge, tristemente: «Un uomo che picchia di solito non uccide».

 

CON AMNESTY – Queste storie e altre, otto in tutto per la precisione, sono state raccolte e rielaborate da Dacia Maraini nel testo teatrale “Passi affrettati” (Giulio Perrone Editore). Sono storie vere, casi di donne e bambine vittime di padri, compagni, fratelli, a causa di quello che l’autrice definisce un «malinteso sentimento di proprietà». Chiedendo aiuto ad Amnesty International, Dacia Maraini ha messo insieme testimonianze da tutto il mondo, evidenziando quanto il possesso della donna intesa come “oggetto” sia sentito in molti paesi ancora, e purtroppo, alla stregua di un diritto inalienabile; e quanto questo diritto sia una legge valida a tutti gli effetti. In altri, invece, quelli avanzati, o quelli “occidentali” per dirla con parole che suonano familiari, la legge modificata, abolita, si è trasformata nel retaggio di una memoria collettiva che sembra guardare troppe volte indietro, laddove libertà e autonomia femminile non hanno voce in capitolo. È questo retaggio ad agire sulle menti più deboli, su quelle per cui: “Ti amo quindi sei mia a tutti i costi, a discapito di ogni cosa”. È un retaggio riscontrabile in ogni ceto sociale e cultura, un fenomeno trasversale che la Maraini mette in scena attraverso l’atto verbale puro, la parola che diviene protagonista nel suo rapporto esclusivo con il pubblico. In “Passi affrettati” i personaggi sono messaggeri delle proprie sofferenze senza ampollosità, senza sipari di sorta, c’è solo il contenuto, nudo e crudo di stime secondo cui negli Stati Uniti, ad esempio, ogni anno ci sono 700.000 casi di violenza domestica. Oppure, di nuovo, il caso di cronaca della giovane Aisha bruciata viva, e rimasta sfigurata per sempre «con due buchi al posto degli occhi e la bocca tutta storta».

 

di Francesca Coppola

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