conferenzaNAPOLI – Le porte della comunità pubblica per minori di Nisida, gestita dalla cooperativa “Il Quadrifoglio”, sono sbarrate da più di un mese.  Una struttura residenziale, che ha accolto nel tempo ragazzi dai 14 ai 21 anni  sottoposti a misura cautelare che  resterà chiusa  a tempo indeterminato.  Una sospensione delle attività,  disposta  dal Capo Dipartimento reggente della Giustizia minorile che ad oggi non è stata ancora motivata.  “Una decisione inaccettabile” tuonano gli operatori, che si sono confrontati con magistrati, rappresentanti delle istituzioni regionali e comunali, in una conferenza tenutasi al “Centro congressi Tiempo”, che ha avuto ad oggetto il futuro dei minori a rischio e dei 15 dipendenti tra educatori e assistenti alla vigilanza, rimasti senza lavoro da un giorno all’altro.

PREVENZIONE- «Una società che giudica un minore -dichiara Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione “La Mansarda”- e dopo averlo giudicato lo mette in carcere è una società malata che sta giudicando se stessa e la propria malattia. Occorre liberarsi dalla necessità del carcere, soprattutto per i minorenni. In media, ogni anno, ragazzi di età compresa tra i 14 e  18 passano in un circuito di denuncia  amministrativo o penale. C’è urgenza di costruire una rete di solidarietà per questi adolescenti che possa prevenire e rieducarli».  C’è amarezza nelle parole della presidentessa della cooperativa “Il Quadrifoglio”, Lidia Ronghi: «In questo momento mi sento una cittadina che vuole denunciare ciò che sta accadendo a Nisida, indipendentemente dalla mia esperienza di operatrice sociale. E’ stata sospesa una comunità, che ha avuto il più alto numero di ingressi in Italia, simbolo di Napoli e fiore all’occhiello, per anni, del Ministero  di Grazia e Giustizia. I ragazzi, sono stati tutti  trasferiti a Caserta e provincia presso comunità private. Ciò, oltre a destabilizzare il loro equilibrio e vanificare un lavoro di mesi,  ha costi e spese maggiori. E’ questo un atto gravissimo, una mancanza di rispetto e sensibilità verso i “figli difficili” di Napoli ai quali si impedisce di reinserirsi, spostandoli, nel territorio di appartenenza.»

CARCERE MINORILE- Dura la critica mossa da Padre Carlo De Angelis. « E’ inconcepibile che una  realtà che dava risposte  vere  alla domanda di sicurezza della società venga messa da parte di punto in bianco. Il carcere, così strutturato, è un fallimento. L’ 80% di chi ci entra, poi ritorna. La recidiva di chi  invece  espia la pena in altre realtà come  le comunità, le case di accoglienza e altre misure alternative,  dà dati che mettono speranza: dall’80% all’8%. Il minore che sconta la sua pena in carcere, subisce un trauma, chi invece sconta la sua pena in una comunità dove c’è un piano educativo personalizzato, conoscenza delle famiglie, del tessuto sociale, sarà un adulto migliore. Si ha a che fare con ragazzi disagiati che provengono da emarginazione e povertà e che hanno bisogno di esempi nuovi. L’incontro con un educatore diventa una nuovo mondo: diverso, positivo. E ciò in un carcere non può avvenire, perché ci sarà sempre una cella chiusa a chiave. Deve esserci un movimento civile che dice no a questa situazione di ingiustizia  che sta creando drammi e danni. Con la chiusura della comunità ce ne saranno molti. Ad ognuno le proprie responsabilità.»  Ad intervenire alla tavola rotonda anche le consigliere regionali Valeria Ciarambino ed Enza Amato, Luca Sorrentino, responsabile del settore sociale della Lega Coop, Lega delle Cooperative e Mutue Campania, Don Franco Esposito, presidente della Consulta regionale volontariato “Carcere e giustizia”.

di Carmela Cassese

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