report_sudROMA – L’economia italiana si trova ancora in uno stato di crisi, resta imprigionata nella spirale recessiva. Dal Dopoguerra non è mai stata sperimentata una contrazione in termini di prodotto e occupazione così ingente e straordinariamente duratura. E’ evidente che la malattia è grave e in sette anni non si è riusciti a sconfiggerla o quantomeno ad alleviarla. Mentre sembra che al Centro-Nord l’economia si stia rianimando, sia pure con grande lentezza e difficoltà – secondo le analisi Diste-Fondazione Curella – con cauti e discontinui segnali di recupero, nel Sud e nelle Isole la situazione continua a peggiorare, e ancora non s’intravede in un orizzonte di breve-medio termine l’uscita dalla traversata nel deserto.
I dettagli della situazione economica sono stati illustrati, nella sede della Fondazione Curella, nel corso della presentazione di “Report Sud – 27° rapporto semestrale sulla situazione congiunturale dell’economia del Mezzogiorno”, realizzato da Diste Consulting per la Fondazione Curella, alla presenza del professore Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella, e di Alessando La Monica, presidente del Diste Consulting. Sono stati invitati a partecipare il professore Gaetano Armao, il segretario regionale della Cisl Maurizio Bernava e il deputato nazionale del Pd Davide Faraone.
Nell’anno che volge al termine, il prodotto interno lordo del Mezzogiorno – stimato sulla base della diagnosi congiunturale condotta nel presente rapporto – è atteso registrare un calo attorno a 1,2% (+0,3% la previsione per il Centro/Nord), dopo il forte crollo subito nel 2013 (-4,0% a fronte di un -1,2% nell’altra area geografica). Rispetto all’anno pre-crisi, il 2007, l’economia meridionale ha bruciato in pratica circa il 15% della propria produzione mentre nell’altra area la diminuzione è di quasi il 7%.
Le conseguenze della depressione sul mercato del lavoro sono devastanti, con un tributo pesantissimo alle famiglie. L’occupazione scende al minimo storico e chiude l’anno in corso con la cancellazione di 120.000 posti di lavoro, e la distruzione negli ultimi sette anni di 736.000 posti. Nel Centro-Nord la riduzione è molto più bassa: -3.500 occupati nel 2014 e -181.000 nel 2008-2014. La piaga della disoccupazione affligge quote crescenti di popolazione. Il tasso di disoccupazione s’impenna al livello massimo degli ultimi decenni, schizzando al 21% dall’11% del 2007, con picchi da brividi tra i giovani (circa 58,5% nel 2014 e 32,3% sette anni prima). Anche nel Centro-Nord il tasso di disoccupazione raggiunge un livello incredibilmente elevato, sia il totale (9,6% dal 4,% del 2007) che con riferimento alle componenti giovanili (35,5% nel 2014 contro un 13,3% sette anni prima).
I consumi delle famiglie residenti sul territorio meridionale chiudono il 2014 ancora in calo (-1,1%), tornando indietro di oltre vent’anni e riportando un livello inferiore del 14,5% a quello di sette anni prima. L’attività d’investimento nel settore privato e pubblico resta in zona d’ombra (-2,5%), per quanto riguarda sia i beni strumentali sia l’edilizia e le infrastrutture: a ogni 1.000 euro di spesa d’investimento effettuata nel 2007, corrispondono oggi appena 640 euro (-36%).
Sul versante dalla produzione la situazione è ugualmente problematica, con l’eccezione dell’agricoltura che annota un valore aggiunto a crescita zero. I numeri dell’industria manifatturiera sono impietosi, con il valore aggiunto in arretramento del 27,5% rispetto a solo sette anni fa; sta peggiore di tutti il ramo delle costruzioni, che dal 2007 ha tagliato il 36% della propria produzione. Viaggiano all’indietro pure le attività che erogano servizi, fino a non molto tempo addietro considerate anticicliche: il loro valore aggiunto arretra di circa il 9,0% rispetto all’anno che precede la svolta recessiva.
L’esercizio di previsione 2015 predisposto da Diste e Fondazione Curella indica, per il Mezzogiorno la prosecuzione della fase recessiva, e per il Centro-Nord un modesto consolidamento della lieve tendenza positiva emersa quest’anno. C’è l’aspettativa – dopo otto anni d’attesa – che il PIL meridionale arretri di “solo” lo 0,5%, l’occupazione si riduca di appena 15.000 unità e il tasso di disoccupazione interrompa la sua corsa fermandosi attorno al 22%.
La crisi infinita ha fatto impennare il numero dei fallimenti che hanno segnato nuovi record, lanciando segnali d’allarme sulla capacità di resistenza del tessuto produttivo. Nel primo semestre 2014 – secondo le rilevazioni Unioncamere – le aperture di procedure fallimentari sul territorio nazionale sono state circa 7.650, il 18,5% in più di gennaio-giugno dell’anno scorso. Il fenomeno ha accomunato quasi tutti i settori, di più nel commercio, nell’industria manifatturiera e nell’edilizia. La recessione ha distrutto un numero consistente d’imprese e sfibrato il già modesto sistema imprenditoriale locale.  Non ci sono soldi e quindi non si spende. Il collasso dell’occupazione e l’impennata della disoccupazione, l’aggravarsi delle crisi aziendali con l’aumento dei contratti di solidarietà, hanno assottigliato il reddito in mano alle famiglie e determinato una ininterrotta flessione dei consumi. A questo vanno aggiunti gli aumenti della fiscalità locale e delle tariffe, decisi per tamponare gli effetti sui servizi pubblici derivanti dal taglio dei trasferimenti statali.
“Il mercato del lavoro è quello che preoccupa moltissimo – spiega Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella – 1 milione 350 mila posti di lavoro, compreso il sommerso, numeri da guerra. Abbiamo un ciclo negativo in Italia ma ancora più negativo per il Mezzogiorno, dove la crisi morde di più, ed avremo un segno meno anche nel 2015. Il Sud e Isole restano intrappolati in una fase declinante di cui non s’intravede per il momento l’uscita, neppure per la Sicilia si vedono spiragli  – sottolinea il professore Pietro Busetta – gli investimenti e i consumi permangono a livelli desolanti, il sottoimpiego di potenziale produttivo è allarmante. Dal 2002 al 2013 il tasso di variazione del prodotto interno lordo del Sud-Isole è risultato, secondo l’Istat, per ben dieci volte peggiore di quello del Centro-Nord. Anche i consumi delle famiglie – aggiunge Busetta – restano fermi e quelli collettivi rispecchiano le difficoltà dei bilanci delle pubbliche amministrazioni locali e centrali con il blocco della spesa, non si investe nelle costruzioni perché manca la domanda abitativa e infrastrutturale. Sarebbe bene chiedersi se il Mezzogiorno che crolla su se stesso è un problema soltanto del Sud oppure può riguardare tutto il Paese. E il Governo Renzi dovrebbe riflettere. Questa parte di Paese potrebbe spingere su Energia, Ambiente, Hi-Tech ”.
“Anche sul fronte degli investimenti non ci sono buone notizie – spiega Alessandro La Monica, presidente del Diste – la nostra indagine rileva, infatti, che praticamente in tutti i settori l’andamento risulta anemico ed è preoccupante anche il calo della spesa che tocca la gran parte dei settori. La crisi ha cambiato molto anche le abitudini negli acquisti, si va sempre alla ricerca dei prezzi più bassi e per risparmiare le famiglie si orientano verso prodotti di minore qualità. Negli anni sono aumentati disagio sociale e povertà. La domanda di lavoro – prosegue la Monica – è in picchiata, in tanti anni non si ricorda una situazione simile, in questo contesto il livello di disoccupazione si è inasprito”.
“La situazione del Sud e della Sicilia – dice il professore Gaetano Armao – si aggrava tra il totale disinteresse del Governo nazionale ed il disimpegno di quello regionale. Il crollo degli investimenti nelle infrastrutture, accentuato dal decreto legge “sblocca Italia”, e l’assenza di strategia su linee di sviluppo come la fiscalità di vantaggio evidenziano la totale assenza di strategia per affrontare la desertificazione imprenditoriale. Crocetta – continua Armao – ha disatteso l’impegno di chiudere il negoziato finanziario con lo Stato, svendendo l’autonomia e rinunciando, con un accordo-farsa, addirittura a 4 miliardi salvo poi constatare che ne mancano altrettanti nel bilancio. Ed ora si fa dare l’assessore per l’Economia dallo Stato, che, c’è da esser certi, quel negoziato chiuderà subito, ma ad avere la peggio saranno solo i siciliani”.
“Sono stanco di sentire e commentare sempre dati funerei – ha affermato il segretario regionale della Cisl Maurizio Bernava -. Crocetta ci ha fatto perdere due anni, io ce l’ho contro questa politica che non analizza e riflette su questi dati drammatici da cui bisognerebbe partire per risollevare le sorti della Sicilia. Tutti gli elementi economici e sociali ci indicano che siamo al fallimento. Il rimpasto del Governo regionale – aggiunge Bernava – serve per salvare le poltrone non certo la Sicilia, perché la vera politica è quella del fare per rispondere alle esigenze della comunità. Dobbiamo recuperare credibilità e serietà nell’approccio ai problemi viceversa rischiamo di essere derisi. Il Mezzogiorno ha a disposizione cinquanta miliardi di euro in sette anni – prosegue Bernava – che servirebbero a portare avanti politiche economiche, industriali ed anche sociali, oltre a riforme vere. Nel Sud Puglia e Campania, con amministrazioni politiche differenti, hanno dato un segnale del fare con vivacità e fiducia, affrontando le questioni con un approccio diverso rispetto a Sicilia e Calabria”.

di Danila Navarra

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