israele_palestina01gROMA- «Dal 2001 al 2009 abbiamo presentato 700 denunce contro l’Agenzia di Sicurezza Israeliana (ASI) e contro ufficiali di polizia e dell’esercito. Le vittime sono soprattutto uomini adulti, ma abbiamo denunciato anche violenze sulle donne e sui minori. La tortura è piuttosto diffusa in Israele, soprattutto nelle situazioni di crisi, come le manifestazioni. È necessario però definire il concetto di ‘tortura’ quando ne parliamo: quando presentiamo delle denunce ai diversi organi, noi adottiamo la definizione della Convenzione Onu contro la tortura. Una definizione molto politica, perché presuppone che  sia un funzionario pubblico a compiere azioni che provochino dolore o sofferenze fisiche o psichiche; in alternativa, si parla di maltrattamenti» è quanto spiega la giovane israeliana Alona Korman, responsabile ricerca e advocacy del PCATI (Comitato pubblico contro la tortura in Israele), che con la sua organizzazione sarà in Italia fino a oggi, per incontrare il comitato Diritti Umani della Commissione Esteri della Camera, il Ministero degli Affari Esteri, per tenere un seminario euromediterraneo sull’impunità e per chiedere all’Europa un’assunzione di responsabilità nel conflitto israelo-palestinese. Il PCATI fa parte della rete REMDH (Rete Euromediterranea per i Diritti Umani), nata nel 1997, al cui interno si raggruppano più di 80 organizzazioni, istituzioni e persone, situate in 30 paesi della regione euro mediterranea, che si battono per i diritti umani.
IL RUOLO DELL’EUROPA- Fa parte della delegazione anche Issam Younis, direttore Centro Al Mezan per i Diritti dell’Uomo (con sede in Palestina), che ha sottolineato la necessità di un ruolo più incisivo da parte dell’Europa: «Quello che stiamo sostenendo è ciò che l’Europa non ha fatto fino ad oggi. Avrebbe potuto avere un ruolo molto importante per imporre rispetto dei diritti dell’uomo, ma con la scusa del ‘dare una chance alla pace’ abbiamo continuato a vedere per anni occupazioni selvagge, confische di territori, pratiche di tortura da parte degli israeliani. Nel 2008 e nel 2011 ci sono state due guerre contro Gaza con veri e propri crimini: nonostante ciò, nessun israeliano è stato portato davanti alla Corte di Giustizia. L’Europa o chi ha il potere di sanzionare Israele non lo fa, a differenza di crimini commessi in altri paesi come ad esempio la Bosnia; di conseguenza, Israele si sente immune e questa è una cosa molto grave perché abusa di questo potere e questo mette a rischio la possibilità di arrivare mai ad una soluzione». Come si vive allora a Gaza? «È come se si fosse fatto un salto all’indietro, una regressione dello sviluppo, se consideriamo che l’85% delle persone dipende dagli aiuti umanitari. Quando Israele ha imposto la chiusura dei canali per l’Egitto, l’unico modo era andare a sud, i tunnel erano essenziali per continuare a vivere e mandare viveri laggiù. Quando Hamas ha vinto le elezioni, alcuni paesi hanno imposto la chiusura dei canali per far sì che la gente dicesse ‘È per colpa di Hamas’, così come prima dicevano ‘È per colpa di Harafat’. Ovviamente è una modalità ingenua di pensare. L’Europa potrebbe avere un ruolo molto importante, ma oggi si limita a fare delle donazioni. Cosa che non serve perché i contribuiti non arrivano dove dovrebbero. Anzi, in questo modo non fa altro che sovvenzionare l’occupazione stessa. Anche se si stanno iniziando ad adottare delle linee guida sui finanziamenti, c’è ancora tanta strada da fare».

di Ortensia Ferrara

 

 

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