lgbtROMA – Sono 144 i casi di discriminazione per orientamento sessuale segnalati all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali nel 2012. E rappresentano l’11% di tutti i casi giunti all’UNAR lo scorso anno. Un numero elevato, impressionate che mostra quanto la violenza fisica e verbale nei confronti della comunità lgtb (Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender) sia ancora molto presente. Soprattutto sui giornali, sui mezzi di comunicazione, che registrano «un terzo dei casi di discriminazione giunti al nostro ufficio» spiega Agnese Canevari, Coordinatrice Strategia Nazionale LGBT – UNAR, che lo scorso fine settimana è stata a Foggia per partecipare a “Tell me more, parliamone di più, parliamone meglio”, il convegno organizzato dall’Arcigay Foggia “Le Bigotte”.
LE ANTENNE TERRITORIALI – «Lo scorso anno i casi di discriminazione lgtb segnalati all’UNAR sono stati 144. Parliamo di segnalazioni da cui sono state poi aperte le istruttorie per seguire, in maniera approfondita, tutti i singoli i casi. Il dato allarmante – evidenzia Canevari – è che questa forma di discriminazione per orientamento sessuale  d identità di genere riguarda l’11% di tutte le istruttorie avviate». Età, disabilità, religione, razza. E poi la rudezza culturale che si trasforma sempre di più in forme di omofobia o transfobia. Di qui, la necessità di «attivare misure di prevenzione, di contrastare questa pericolosa aggressività discriminatoria». E per seguire più facilmente ogni singolo caso, l’UNAR ha attivato sul territorio nazionale delle antenne a cui ha affidato il compito di approfondire, conoscere meglio le questioni, lavorare in sinergia con le associazioni. «I casi che colpiscono di più sono quelli in cui si verificano episodi di violenza fisica nei confronti delle persone lgtb, – evidenzia Bruno Colavita, coordinatore nazionale del progetto Back Office – ma c’è una forma di omofobia e transfobia più silenziosa, che incide sulla vita delle persone in maniera molto forte. Ed è quella dei mezzi di comunicazione».
IL POTERE DELLA PAROLA – Non a caso, l’UNAR ha orientato la sua attività di prevenzione in quattro ambiti specifici: scuola, lavoro, carcere e media. Perché c’è poco da fare: «Un terzo dei casi proviene da giornali, televisioni, siti internet, che sono un potere importante, capace di plasmare le coscienze, di determinare l’inclusione o l’esclusone dei soggetti più fragili». Il potere della parola, l’esigenza di adoperare un uso corretto del linguaggio giornalistico che può migliorare o peggiorare la percezione della società verso la comunità lgtb o alimentare incresciose manifestazioni di intolleranza. «Bisogna formare e sensibilizzare i giornalisti – prosegue Canevari – . Per questo come UNAR abbiamo avviato un percorso di formazione attraverso un ciclo di seminari rivolto ai giornalisti e alle scuole di giornalismo. Il percorso si concluderà con la pubblicazione delle Linee Guida dedicate agli operatori della comunicazione». Sul banco degli imputati, dunque, le immagini ed i racconti stereotipati sul mondo lgtb che non fanno altro che alimentare i casi di discriminazione raccolti dall’UNAR. «Il linguaggio può essere discriminatorio, basti pensare a molti titoli di giornale che fanno riferimento all’identità di genere o all’orientamento sessuale, o agli articoli che violano riservatezza e privacy. Le parole veicolano anche l’odio, lo incitano. Per questo – conclude Canevari – gli Stati dell’Unione Europea, fra cui l’Italia, devono svolgere maggiore attività di controllo».
 

di Emiliano Moccia

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