MILANO. La seconda fuga di Habtamu è stata definitiva, senza scampo, così tremenda da togliere il respiro: non è più l’Africa che il ragazzino etiope, protagonista, un anno fa, di un avventuroso viaggio in solitaria attraverso l’Italia, ha cercato, bensì la morte. Era scappato, lo ricordiamo bene, per andare in Africa a trovare la sua vera famiglia, non i genitori, entrambi morti in guerra, ma i fratelli maggiori, gli zii e le zie. Habtamu, tredicenne adottato assieme a un suo fratellino minore dai coniugi Scacchi di Paderno Dugnano, ben inserito a scuola, scout, chierichetto in parrocchia – tutto questo all’epoca fu sottolineato con insistenza – era scomparso da casa ai primi di gennaio 2012 dopo che più volte aveva chiesto ai suoi perché mai avessero adottato proprio lui, perché non un altro al posto suo, e anche come era l’Africa e dove era e quanto lontana fosse.
Ricordiamo il tam tam su Internet per ritrovarlo, come ricordiamo, in fotografia, i volti smarriti, pallidi, angosciati di Marco e Giulia Scacchi. Forse – ci si era detti – quella «buona integrazione» così buona dopo tutto non era stata, forse più a parole che nei fatti, forse in classe, ma non nell’intervallo, non fuori dalla scuola, non sul campetto di calcio; e ci si era interrogati sulla difficoltà di essere un piccolo, solitario uomo nero – dal volto riflessivo, dagli occhi intelligenti – in mezzo a tanti, tantissimi piccoli uomini bianchi.
Sei giorni dopo un poliziotto aveva riconosciuto Habtamu alla stazione di Napoli, dove era arrivato in autobus, in treno e a piedi, mangiando quasi nulla, chiedendo l’elemosina e dormendo – di gennaio – nei campi. Era diretto in Sicilia per passare da lì in Africa e in tasca aveva una carta geografica dell’Italia. Arrivò da Paderno la famiglia a riprenderselo, ci furono abbracci, lacrime e sollievo generale per i tanti pericoli scampati durante la grande fuga. Chissà come, adesso, i compagni, lo rispetteranno a scuola, all’oratorio e sul campo di calcio, per molti ormai un vero eroe, ci si era detti ancora.
Il 13 febbraio Habtamu è di nuovo scomparso da casa. Sono tornati, per la famiglia, i giorni dell’attesa, dell’angoscia, degli interrogativi senza risposta. Ancora una volta è stato tentato il tam tam su Internet con le fotografie in rete che l’anno scorso aveva dato i suoi frutti. E ieri sera il caso del ragazzino nuovamente sparito nel nulla avrebbe dovuto approdare in televisione, a «Chi l’ha visto».
La trasmissione è stata cancellata all’ultimo perché ormai inutile. Habtamu è stato ritrovato, a Biassono, distante una quindicina di chilometri da Paderno Dugnano, ma cosa sono mai quindici chilometri per un ragazzo che un anno prima ne aveva coperti ottocento? Morto è stato ritrovato, impiccato, e il suo suicidio, come tutti quelli di adolescenti, bianchi o neri che siano, tragici e incomprensibili, riesce a straziare anche chi della giovane vittima non sapeva nulla tranne, forse, le poche notizie lette in fretta sui giornali.
Resterà il mistero, invano esplorato già un anno fa,dagli psicologi, del giovane Habtamu, del suo mal d’Africa – o forse male d’Italia, male d’Europa e di Occidente – della sua doppia fuga, della sua incapacità di arrendersi all’amore dei nuovi genitori, di considerarsi fortunato per essere stato scelto tra centinaia, forse migliaia di piccoli, neri, orfani di guerra e portato a vivere lontano, tra i bianchi, al sicuro dalle battaglie, da quelle battaglie almeno.

di Isabella Bossi Fedrigotti (corriere.it/milano)

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