di Emiliana Avellino
NAPOLI. Scampia, quartiere a nord di Napoli, una lunga scia di rifiuti di ogni sorta segna l’ingresso nel campo rom. Un villaggio di baracche fatte di lamiere e compensato, dove vivono circa 700 persone.
Ad accompagnarci Jovanovic Dejan di nazionalità serba da tredici anni in Italia. «Ho quattro figlie femmine – racconta – studiano tutte nella scuola italiana». Nel campo manca la corrente. L’Enel ha staccato per l’ennesima volta l’allaccio abusivo, «un paio di giorni e riattacchiamo – dice Jovanovic – In inverno è più dura per riscaldarci accendiamo nelle stufe la legna presa dai rifiuti. Ci accusano di essere sporchi, che bruciamo i rifiuti, ma vogliamo solo riscaldarci».

Per il cumolo di spazzatura all’esterno del campo, Jovanovic precisa: «Non è solo colpa nostra nessuno viene a ritirarla, per questo si creano le discariche». Per quanto riguarda l’integrazione Dejan ha le idee chiare: «E’ una questione di scelta, tra di noi c’è chi si vuole inserire e chi no. C’è chi cerca un lavoro e chi si “arrangia”». Lui, da due anni, è mediatore culturale dell’associazione “Arrevutammoce”, «per quelli come me – aggiunge – che si vogliono integrare è comunque dura: non ci danno la luce e l’acqua. Come i miei figli possono andare a scuola e possono giocare con i bambini italiani se sono sporchi?».
«Tu dici che io sono zingaro – conclude Jovanovic – ed è vero, ma se puzzo e scappi è anche colpa tua». Per i suoi figli spera in un futuro migliore del suo: «che siano integrati e possano scegliere la loro strada».

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