PALERMO. Il 23 maggio 1992 500 chili di tritolo fanno saltare in aria l’autostrada che congiunge l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Muoiono Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta, e la speranza che lo Stato possa vincere contro la mafia. Due mesi dopo, il 19 luglio, un’esplosione in via D’Amelio uccide anche Paolo Borsellino, probabile candidato – dopo la morte di Falcone – a guidare la neonata Procura Nazionale Antimafia.
I magistrati Falcone e Borsellino, un binomio indissolubile – nell’amicizia e nel lavoro –, hanno dato un volto alla mafia. In un’epoca in cui si affermava ancora pubblicamente che la mafia non esisteva, hanno provato che essa esisteva e che non si trattava di criminalità comune, ma di «un’organizzazione unica nel suo genere, un autentico centro di potere parastatale organizzato in una precisa struttura verticistica, al cui interno dovevano vigere la più assoluta segretezza e omertà». E hanno provato che i crimini mafiosi sono perseguibili, nel pieno rispetto delle regole democratiche. Pur consapevoli del loro destino di morte, hanno imparato a convivere con la paura per perseguire un obiettivo che, evidentemente, hanno ritenuto più alto della loro stessa vita. Anche e, forse, ancor di più, dopo la loro morte, il lavoro di Falcone e Borsellino ha smosso le coscienze, «rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia».
IL MESSAGGIO. Ed è questo il messaggio che viene fuori dalle pagine di Dove eravamo, il libro edito dalla casa editrice napoletana Caracò, in prossima uscita: all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, l’Italia è sgomenta, sì, ma «c’è una cittadinanza che reagisce, c’è il coro “fuori la mafia dallo Stato” urlato di fronte alla cattedrale di Palermo, ci sono i fischi e gli insulti alle autorità, le lenzuola bianche, le associazioni antimafia, il consolidamento di una cultura che ha portato la Sicilia e l’Italia intera a uscire dal silenzio, ad aver meno paura e a reclamare una verità che tarda ad arrivare».
LE STORIE. A vent’anni dagli attentati di Capaci e via D’Amelio, “Dove eravamo “racconta quei giorni drammatici, attraverso la testimonianza di chi li ha vissuti. «Non solo familiari, magistrati, giornalisti, poliziotti, persone all’epoca già in prima linea nella lotta alle mafie, ma anche donne e uomini che, a partire da quei giorni, hanno iniziato, ognuno nel proprio ambito, a combatterle». 21 racconti che ci commuovono, ci fanno “arraggiare”. 21 racconti per chi pensa che la mafia sia lontana e che siano “gli altri” a doverla combattere. 21 racconti che ricordano a chi c’era, e fanno capire a chi non c’era ancora, che dove c’è cultura, dove c’è memoria, dove c’è società civile, dove c’è lo Stato – quello vero – non c’è mafia.

di Federica Pugliese La Corte

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