di Luca Mattiucci*
MILANO. Prendono anche solo un terzo dello stipendio che ricevevano con il loro precedente incarico in azienda. Ormai, infatti, il 50% dei dirigenti di associazioni, fondazioni, consorzi e cooperative provengono dal mondo profit. Il dato singolare emerge dal “Quarto rapporto sulle prassi gestionali e retributive del Non-Profit” condotto dall’Osservatorio sulle risorse umane nel non profit (Orunp) di Fondazione Sodalitas e Hay Group, sulle retribuzioni di impiegati, quadri e dirigenti in 126 organizzazioni confrontate con quelle dei dipendenti di 200 enti locali e 500 imprese.
LE MOTIVAZIONI – Tutte da indagare le cause del fenomeno: se da un lato la motivazione “personale” sembra bastare, dall’altro il sostanziale divario economico che si presenta tra “vecchio” e “nuovo” incarico non giustifica la scelta se non per necessità, il tutto riconducibile alla crisi del settore profit, come sottolinea Giuseppe Pitotti di Sodalitas: “Per alcuni è una libera scelta che permette di coniugare ideali e professione. Per altri è una necessità, perché le aziende hanno ridotto fortemente l’organico”. Se un responsabile amministrativo di fondazione percepisce 100 euro, il suo corrispettivo in una pubblica amministrazione arriva a 110 e quello in aziende tocca il picco di 160 euro ( +61%). “Nel 2006, però, nel mondo profit il dirigente arrivava a 240 (+140%) – prosegue Pitotti – In media quindi si è ridotta la distanza dal non profit”. Ma le differenze si avvertono soprattutto tra chi è chiamato a guidare un grande gruppo: se i dipendenti toccano quota 2mila, il manager del non profit ha un compenso pari ad un terzo del suo speculare in azienda.
SOCIALE PIU’ “ATTENTO” AI DIPENDENTI – Insomma, resta ad oggi un sicuro gap retributivo a sfavore del Non profit accentuato dai dati sul ricorso alla retribuzione variabile e ai benefici addizionali. Solo il 45% delle organizzazioni Non profit include, infatti, il “variabile” nella propria prassi retributiva, contro il 90% delle Profit. Solo un terzo delle Non profit riconosce poi benefici addizionali (come ticket e coperture assicurative) ai propri collaboratori, contro il 90% delle aziende Profit. Il “non lucrativo”, di contro, continua invece a caratterizzarsi per un’attenzione molto forte verso le esigenze individuali dei collaboratori in termini di flessibilità dell’orario di lavoro. Il 35% delle organizzazioni ricorre al lavoro remoto, oltre il 50% permette ai propri collaboratori di gestire in modo flessibile ferie e orario di lavoro, mentre il 75% del campione riconosce la gestione flessibile dei permessi. Nel non profit, grazie anche ad un turn over più frequente che altrove, sono in crescita anche i lavoratori dipendenti (39% nel 2011 contro il 15% nel 2006) mentre diminuisce l’incidenza dei volontari (36% nel 2011 contro il 65% nel 2006). Come a dire che il Terzo Settore punta su un’occupazione stabile: se l’incidenza dei lavoratori dipendenti sull’organico è quasi triplicata (dal 15% al 39%), l’incidenza dei lavoratori non dipendenti è cresciuta in misura meno accentuata (dal 13% al 24%) ed è quasi nullo il fenomeno di forme residuali (partite IVA13%, collaboratori 7%, stage 4%). Insomma, tra vantaggi e svantaggi, il profit ed il non profit sembrano ormai essere entrati in concorrenza.
*direttore responsabile Comunicare il Sociale
estratto da Corriere Economia del 16 Aprile 2012

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