MILANO. Prendono anche solo un terzo dello stipendio che avevano in azienda. Ormai il 50% dei dirigenti di associazioni, fondazioni, consorzi e cooperative sociali provengono dal mondo profit. Per necessità o perché ci credono, negli ultimi cinque anni c’è stata una vera e propria migrazione dei manager nel terzo settore. È quanto emerge dall’indagine, condotta dall’Osservatorio sulle risorse umane nel non profit (Orunp) di Fondazione Sodalitas e Hay Group, sulle retribuzioni di impiegati, quadri e dirigenti in 126 organizzazioni confrontate con quelle dei dipendenti di 200 enti locali e 500 imprese. Se un responsabile amministrativo di una cooperativa o di una fondazione percepisce 100 euro, il suo corrispettivo in un comune arriva a 110 e quello nelle aziende 160. «Nel 2006, però, nel mondo profit il dirigente arrivava a 240 – sottolinea Giuseppe Pitotti di Sodalitas-. In media quindi si è ridotta la distanza dal non profit». Ma ci sono eccezioni, soprattutto tra chi è chiamato a guidare un grande consorzio o un’impresa: «Quando i dipendenti sono circa 2mila, il manager del non profit ha un compenso che è un terzo del collega che lavora in azienda», aggiunge Pitotti.
LE RAGIONI DI UNA SCELTA. Diverse le ragioni per cui un manager rinuncia ai soldi per lavorare nel terzo settore. «Per alcuni è una libera scelta -spiega  Giuseppe Pitotti -, che permette di coniugare ideali e professione. Per altri è una necessità, perché le aziende hanno ridotto  fortemente l’organico. Non dimentichiamoci, infine, che è lo stesso mondo non profit ad essersi sempre più professionalizzato e  quindi attrae persone con specifiche competenze». Nel non profit c’è anche un forte turn over del personale. Ogni anno circa uno su tre cambia lavoro.

di Mirko Dioneo

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